Brano: Giuseppe Petronio
GRAMSCI E LA CRITICA LETTERARIA
Gramsci non fu certo un critico letterario nel senso preciso, tecnico, della parola. Critico letterario, in senso tecnico, è, infatti, chi, dedicando all'indagine critica una parte rilevante della sua attività, esprime e lascia un corpo di giudizi puntuali su autori e su opere, giudizi che o costituiscono punti fermi di riferimento ai quali ci si richiami anche piú tardi, o sono, almeno, tipici a caratterizzare, per i posteri, il gusto letterario di un'epoca.
Di questi giudizi Gramsci ne ha lasciati assai pochi, e chi spigoli nei Quaderni del carcere e nelle[...]
[...]Pirandello come capocomico
e regista. (Tutto ciò sia inteso con molto sale)» 6.
Giudizi letterari cosí articolati e distesi non sono però frequenti, e sarebbe difficile, chi si fermasse ad essi, collocare Gramsci tra i critici letterari o parlare di una sua importanza nella storia della nostra critica letteraria.
1 L. V. N., p. 46 sgg.
2 M. S., p. 199.
3 L. V. N., p. 281 sgg.
4 L. V. N., p. 283 sgg.
5 L. V. N., p. 46.
8 L. V. N., p. 53.
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Ma la critica letteraria non consiste soltanto in quel giudicare puntuale e concreto di cui si diceva; che è anzi, questo, come l'ultimo atto, conclusivo, di un lavoro lungo e complesso al quale attendono o collaborano piú specialisti, ognuno con un suo compito preciso. Il giudizio critico presuppone infatti una estetica, cioè una concezione generale dell'arte, senza la quale si cadrebbe nel piú trito impressionismo. Presuppone ancora l'esistenza di un gusto, e non, intendo, di una individuale attitudine del critico a cogliere nell'opera d'arte i motivi o i momenti vivi, isolandoli da ci[...]
[...]ivismo, proclamanti la necessità di rifarsi ai principi di Marx ed Engels, per adattárli alle nuove esigenze della vita sociale e culturale italiana, ma incapaci, poi, di svolgere essi quel compito di cui pure avvertivano l'urgenza 1.
1 Per qualche esempio dr. A. SCHIAVI, «Per la cultura socialista», in Critica sociale, XXII, 1912, p. 147 sgg.; T. CoLucci, « A proposito di filosofia della storia e di marxismo », ivi, XXIII, 1913, p. 268 sgg.
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Gramsci svolse lui questo compito, e sono noti i termini nei quali lo pose: elaborazione, o rielaborazione, di una filosofia della prassi, che tenesse si conto delle conquiste particolari del neoidealismo, ma che queste conquiste assumesse organicamente in un sistema tutto diverso di principi; fondazione di un AntiCroce e di un AntiGentile, che ripetesse per i due filosofi dell'idealismo italiano quanto già i fondatori della filosofia della prassi avevano compiuto per Dühring. $ logico, allora, che lo studioso di Gramsci debba oggi ricercare, nei volumi delle opere di lui, quanto della i[...]
[...]i) con il giudizio estetico (che è un giudizio di forme), già arricchisce questa distinzione di spunti che sono tipicamente marxistici: un momento dato non è mai omogeneo; ogni momento storico pub
1 Cfr. ad esempio la lettera di Engels a Bloch del 21 settembre 1890 e quella a Paolo Ernst del 5 giugno 1890 (riportate in K. MARX F. ENGELS, Sur la litérature et l'art, a cura di J. Freville, Parigi, 1954, p. 160 sgg.; 321 sgg.).
2 L. V. N., p. 7.
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essere rappresentato ed espresso e da chi lo rappresenta nei suoi aspetti progressivi, e da chi ne « esprime gli elementi " reazionari " e anacronistici », mentre può darsi che veramente rappresentativo sia « chi esprimerà tutte le forze e gli elementi in contrasto e in lotta, cioè chi rappresenta la contraddizione dell'insieme ,storicosociale » 1, dove è già, come appar chiaro, tanto della problematica e delle tesi di Lukàcs 2. E se parla qualche volta di dialettica dei distinti, è per rinviarla al mondo delle sovrastrutture, non alla realtà sempre unitaria nella sua drammatica. comples[...]
[...]gettività, isolando il critico, come l'artista, in una torre d'avorio, essa può servire la causa della conservazione culturale e politica: negare la
L. V. N., p. 9.
2 L. V. N., p. 11.
3 L. V. N., p. 7.
4 Cfr. soprattutto E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari, 1955; M. ABBATB, La filosofia di B. Croce e la crisi della società italiana, Torino, 1955, per cui mi permetto rinviare ad una mia recensione in Mondo operaio, IX, 1956, n. 3.
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propria natura ideologica può essere, in un determinato momento storico, la piú comoda e utile delle ideologie!
Ma qui proprio è la differenza tra il tipo di critica propugnato dal Croce e quello del De Sanctis e di Gramsci; una differenza che è, originariamente, ideologica, ma si fa presto tecnica. La critica d. Croce, voglio dire, serve un'ideologia conservatrice; quelle di De Sanctis e di Gramsci servono ideologie progressive; ma, intanto, per servire ognuna la propria ideologia, l'una diviene critica della pura forma, della distinzione netta tra poesia e nonpoesia, tra struttura e p[...]
[...]orgimentali; di un uomo per cui la letteratura italiana aveva avuto il gran vizio di non essere popolare e realista, ma per cui pure popolare aveva ancora, su per giú, l'accezione che gli aveva data il Berchet nella sua Lettera semiseria. Mentre per Gramsci il male che aveva minato nei secoli la
1 M. S., p. 17.
2 Per quanto segue mi permetto rinviare ad un mio saggio « Di che fanno la criticai critici? », in Mondo operaio, IX, 1956, fasc. 89.
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storia italiana era stato il suo carattere classista, il non essere popolare
e nazionale, dove però popolare aveva il significato preciso, di classe, che poteva dargli on socialista o comunista educatosi su Marx ed Engels
e tempratosi nelle lotte operaie.
La differenza è radicale, e non solo da un punto di vista ideologico; ché anche qui è possibile osservare come una differenza ideologica divenga immediatamente differenza formale, tecnica, sicché la diversa visione storiografica comporta uno spostamento di accenti in ogni giudizio, e apra prospettive nuove, e determini una problemati[...]
[...]vuotata del senso della dialettica, si è sforzata di rivalu.are, per ogni fase storica, gli elementi, che sempre vi sono, di confusa anticipazione del futuro, di stanco proseguimento del passato. Cosí Umanesimo e Rinascimento sono stati da alcuni anticipati di secoli, mentre altri ha sottolineato quanto in essi restava vivo di medievale e cattolico; ma, e dagli uni e dagli altri, sono stati
1 P., p. 32; L. C., pp. 28, 44, 73.
z P., p. 29 sgg.
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svuotati cosí della loro carica polemica, hanno perso significato e colore. Nello stesso modo, i primi secoli della letteratura italiana sono apparsi piú una continuazione in volgare della letteratura latina medievale, che il frutto di una nuova situazione storica e sociale; cosí come il secondo Settecento è stcto ora ritratto verso la prima arcadica metà del secolo, ora rigettato verso l'Ottocento, è apparso ora continuazione dell'Arcadia ora presentimento del Romanticismo (Preromanticismo), senza piú, in alcun caso, quei larghi motivi innovatori che il De Sanctis vi aveva scorti, trutt[...]
[...]e al De Sanctis, ma ad un De Sanctis rinvigorito della sua piú democratica concezione storiografica: «Esso [l'Umanesimo} ebbe il carattere di una restaurazione, ma,
L. C., p. 138; dr. anche I., p. 22 sgg.; P., p. 155; R., pp. 510; 18 sgg.; ecc.
2 Poemetti del Duecento, a cura di G. PETRONIO, Torino, 1951.
3 G. PETRONIO, « La posizione del Decameron », in La rassegna della letteratura italiana, a. 61°, s. VII, aprilegiugno 1957.
4 R., p. 15.
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come ogni restaurazione, assimilò e svolse, meglio della Masse rivoluzionaria, che aveva soffocato politicamente, i principi ideologici della classe vinta, che non aveva saputo uscire dai limiti corporativi e crearsi tutte le superstrutture di una società integrale. Solo che questa elaborazione fu " campata in aria ", rimase patrimonio di una casta intellettuale, non ebbe contatto col popolonazione. E, quando in Italia il movimento reazionario, di cui l'Umanesimo era stato una premessa necessaria, si sviluppò nella Controriforma, la nuova ideologia fu soffocata anch'essa e gli umanisti ([...]
[...]logica di « moderato » e di cattolico; e per questo egli studiò seriamente l'atteggiamento psicologico dello scrittore nei riguardi dei suoi personaggi « popolani » ed « umili » : « questo atteggiamento è nettamente di casta pur nella sua forma religiosa cattolica; i popolani, per il Manzoni, non hanno " vita interiore ", non hanno personalità morale profonda; essi sono " animali ", e il Manzoni è " benevolo " verso di loro,
1 L. V. N., p. 79.
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proprio della benevolenza di una cattolica società di protezione degli animali... L'atteggiamento del Manzoni verso i suoi popolani è l'atteggiamento della Chiesa cattolica verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di medesimezza umana... » '.
Un tale giudizio può essere accettato o rifiutato; va, a dir meglio, discusso, concretamente, filologicamente, ad accertare se ed entro quale misura sia esatto e rispecchi la mentalità del Manzoni, quale essa ci si manifesta in concreto nei Promessi sposi. Ma qualora esso risulti esatto, in tutto o in gran parte, esso spiana la via ad un[...]